Tra le maggiori idiozie
mediatiche della recente stagione estiva spicca la nuova brillante idea di
affibbiare un nome proprio di persona a qualsivoglia evento metereologico,
sulla falsariga degli uragani tropicali (Katrina docet). Ecco così affacciarsi sull’Italia
l’anticiclone Caronte o il vortice ciclonico Poppea, descritti con grande
dovizia di particolari e dati scientifici incomprensibili ai più, che almeno
ottengono lo scopo di occupare varie colonne sui giornali o svariati minuti di
servizio nei TG. Ormai lo sappiamo, per costoro tutto fa brodo pur di tener
desta l’attenzione del popolo bue.
Di questo passo ci ritroveremo
col venticello Marcello, la pioggerellina Giuseppina, la bora Deborah e la
tramontana Loredana…
Comunque sia, la sera del 3
settembre, sul Teatro Romano di Verona, oltre che l’acquazzone Leone, si è
abbattuto l’uragano Fiorella (Mannoia). Il previsto concerto della nostra
cantante preferita non nasceva sotto buoni auspici metereologici; le ire di
Poppea flagellavano già da giorni città e provincia. Altri concerti ed eventi
dal vivo hanno dovuto fare i conti con questo infelice inizio di settembre.
Ma la cara Fiorella non si è
tirata indietro e ha sciorinato quasi due ore filate di ottima musica italiana,
tratta sia dal suo vecchio repertorio (I
treni a vapore, quello che le donne non dicono, Clandestino, Il cielo d’Irlanda…),
sia dal nuovo CD Sud (Io non ho paura, In viaggio, Quando l’angelo
vola, Non è un film…). Il concerto si è chiuso, purtroppo in tutta fretta
sotto una pioggia battente, con un omaggio a Lucio Dalla (Cara). Ottimi arrangiamenti e grande spazio al ritmo e alle
percussioni, per avvicinare le sonorità il più possibile a quelle dei vari Sud
musicali, cui la Mannoia recentemente molto si ispira.
Il leitmotiv della serata, tanto
nei testi delle nuove canzoni, quanto nelle presentazioni e nelle considerazioni
dell’artista, è stato la condizione di sofferenza, povertà, discriminazione e
sfruttamento dei popoli del sud del mondo, Africa in primis. In linea di
principio, nulla da eccepire. Però, a mente fredda, devo esprimere dei dubbi
nei confronti della utopistica e forse semplicistica esibizione
di fratellanza, amore e comprensione a cui ho assistito. La continua indulgenza
verso i limiti, le incapacità e gli errori storicamente evidenti di certi popoli
(governi?) del “Sud”, oltre che la retorica sinistroide che colpevolizza sempre
e comunque le nazioni del “Nord”, più ricche, ma anche più intraprendenti,
laboriose e, perché no, silenziose e introverse, comincia sinceramente a
stancarmi, con tutto il rispetto per l’intelligenza, la rara sensibilità e la
sicura buona fede della nostra amica Fiorella.
Per pura fatalità inoltre,
proprio il giorno successivo al concerto, dovevo partire per una breve vacanza
africana, e il coinvolgimento emotivo della serata ha accentuato la voglia e
l’interesse nei confronti della nuova e diversa realtà che avrei affrontato.
Uno dei migliori video del concerto caricati su YouTube
Volevamo vedere l’Africa Nera e
siamo stati accontentati. Di nera abbiamo trovato soprattutto la miseria, e
tanta. Capanne di fango e paglia (lamiera ondulata per i più facoltosi…), abiti
sbrindellati, discariche a cielo aperto, condizioni socio-economiche e
igienico-sanitarie disastrose. Una marea di bambini abbandonati a sé stessi,
sorridenti e apparentemente sereni, che fanno da sottofondo alla retorica
turistica dell’Africa colorata, ottimista e senza pensieri (Hakuna matata!).
L’abisso che separa la nostra
moderna civiltà occidentale dalla profonda Africa è ormai assolutamente
incolmabile. I neologismi ipocriti inventati dalla diplomazia politicamente
corretta parlano di “paesi in via di sviluppo”.
Quale sviluppo? Manca tutto:
elettricità, acqua corrente pulita, fonti energetiche, smaltimento rifiuti, assistenza
sanitaria, lavoro regolare, stato sociale…
Camminare in questi villaggi,
calpestando terra battuta, escrementi, rifiuti di qualsiasi origine, inseguiti
da torme di bambini di ogni età, tutti regolarmente scalzi, che vanno in visibilio per una caramella o una
penna biro, dà l’impressione di essere extraterrestri provenienti da una lontana
galassia appena sbarcati su un pianeta sconosciuto.
Lo stile e le abitudini di vita
occidentali sono ormai assolutamente incompatibili con la realtà che scorre
davanti ai nostri occhi; si tratta di due mondi distinti e distanti anni luce,
nonostante si tenti con disinvoltura di venderci (per gettare benzina sui
nostri sensi di colpa) l’immagine dell’africano rilassato, sorridente, fatalista,
che non pensa al futuro e vive alla giornata sentendosi parte integrante della
natura che lo circonda, esente dallo stress, dalla competitività, dall’arrivismo
tipicamente occidentali, propri di chi possiede qualcosa e la vuole
-giustamente?- difendere.
Lo diceva anche De Andrè:
“Non desiderare la roba degli altri
non desiderarne la sposa.
non desiderarne la sposa.
Ditelo a quelli, chiedetelo ai pochi
che hanno una donna e qualcosa”
Lo straniero, soprattutto nelle
vesti di turista, si ritaglia un’esistenza a parte, con tutte le comodità e i
confort a cui è abituato, circondandosi con soddisfazione di abitanti del luogo
pronti ad elargire un Jambo Jambo e
un Hakuna matata in cambio di pochi
dollari, dell’acquisto di un souvenir, dello scatto di una fotografia…
Poi si ritira nel suo mondo
dorato a bere un Daiquiri sui bordi della piscina infinity, guardando distrattamente
un tramonto africano all’orizzonte.
Non troppo prossimamente,
aspettatevi il solito video del viaggio.