Blog NEWS (13/05/17)

  • - The end of the game...
  • - Continua l'autunno: nuovo post.
  • - Nuove foto: autunno stagione magica!

venerdì 11 maggio 2012

The Lady - L'amore per la libertà

Senza dubbio una delle figure contemporanee di maggior spicco nell'eterna lotta contro il potere assoluto e la violazione dei diritti umani è quella di Aung San Suu Kyi, leader dagli anni ‘80 del movimento non violento per la democrazia in Birmania, oggi Myanmar. 
A questa donna affascinante e carismatica Luc Besson ha recentemente dedicato il film The Lady – L’amore per la libertà.
Avevo già avuto contatti cinematografici con questo personaggio molti anni fa, rimanendone già allora conquistato ed emozionato. Era il 1995 e il film di John Boorman si intitolava Oltre Rangoon.
La storia di una donna medico americana, recentemente colpita da una grave disgrazia familiare, che, per seguire i consigli di un’amica, affronta un lungo viaggio liberatorio nel lontano oriente ed entra in contatto nel 1988 con la spaventosa situazione politica e umana della Birmania; avvicina il movimento democratico di rivolta guidato da Aung San Suu Kyi, lasciandosi coinvolgere e trascinare dalla forza d’animo di questa donna, fino a scordare la sua personale sofferenza per abbracciarne una immensamente più grande.
Nel recente film di Luc Besson invece, la figura di Aung San Suu Kyi viene descritta soprattutto negli intimi aspetti della sua tragedia personale e familiare, costretta, in nome dell’amore per il suo popolo e la libertà democratica, a rinunciare per lunghi anni a qualsiasi contatto con la sua famiglia inglese, marito, professore di cultura orientale a Oxford, e due figli adolescenti. Più volte costretta agli arresti domiciliari, praticamente segregata in casa dalla costante pressione del potere militare, che cercava in tutti i modi di isolarla dal mondo, non ha potuto neppure assistere il marito nei suoi ultimi giorni di vita, ucciso dal cancro nel 1999.
Nonostante queste ripetute privazioni affettive, la sua costanza, la sua passione per la libertà e la sua forza d’animo, premiate con il Nobel per la pace nel 1991, hanno rappresentato una continua spina nel fianco per il regime militare al potere in Birmania dalla fine degli anni ’80, oltre che una fonte d’ispirazione per tutti i movimenti democratici non violenti. Solo recentemente, grazie ai suoi continui sforzi e alle pressioni dei governi occidentali e dell'opinione pubblica mondiale, l’oppressione totalitarista nel suo paese si è allentata, permettendo un lento e solo parziale sconfinamento verso un regime democratico.


Dal film, a mio parere molto bello e coinvolgente, emerge una figura di donna straordinaria, capace, praticamente da sola, di tener testa ad uno dei più feroci ed oppressivi regimi dittatoriali che la storia recente ricordi. E capace anche, cosa molto strana e per certi versi anacronistica, di non farsi mai ammazzare.

mercoledì 2 maggio 2012

Perchè capolavoro?

Finalmente, al secondo tentativo, sono riuscito faticosamente a portare a termine la lettura del Moby Dick di Herman Melville. Ora mi chiedo: perché viene considerato un capolavoro?
Se togliamo le continue e prolisse divagazioni dedicate ora alle tecniche di pesca, ora alle classificazioni zoologiche marine di balene, capodogli e catacei in genere, ora alle leggende legate alla caccia delle balene, ora alla descrizione anatomica dettagliata dei vari esemplari di balena, esaminati in tutte le loro parti, ora all’elencazione minuziosa delle attrezzature in dotazione ad una nave baleniera e alle tecniche di squartamento, raccolta e stoccaggio del famoso olio, ora agli innumerevoli passaggi della bibbia relativi all’argomento pesci, balene & co. (a partire dall’immancabile Giona…), ora, dicevo, se togliamo tutto questo, cosa resta?
Qualcuno intellettualmente più ispirato di me potrebbe obiettare che proprio tutte queste digressioni rappresentano il bello del libro… Vabbè, diamo atto, però in realtà, ribadisco, stringi stringi, cosa resta?
Una storiella semplice semplice, di cui si fatica a seguire il filo a causa delle ricorrenti divagazioni di cui sopra, che narra le tribolazioni di un povero equipaggio di baleniera –il Pequod- irrimediabilmente ostaggio di un capitano pazzoide –Achab- vittima di paranoie, allucinazioni e manie di persecuzione che porteranno verso un inevitabile e tragico destino.
Il ritmo e il pathos della caccia sarebbero i momenti migliori, se solo si riuscisse a leggerli tutto d’un fiato almeno una volta.
Se poi vogliamo scovare sotto la superficie della semplice avventura un risvolto metafisico, filosofico o esistenziale sulla eterna lotta dell’uomo contro i suoi fantasmi e le sue angosce, mi sembra che ciò sia palese fin dalle prime pagine dedicate al Pequod e al suo sciroccato capitano.
Quindi, ribadisco ancora, dove sta il capolavoro?
Non per nulla, all’epoca della sua pubblicazione, il romanzo non ebbe particolare successo di pubblico, creando non poche difficoltà economiche all’autore, che contava unicamente sulla sua attività di scrittore per mantenere la famiglia.

Confesso che per poter portare a compimento la lettura del libro, ho dovuto ricorrere ampiamente ai diritti enunciati da Daniel Pennac nel suo Come in un romanzo: il diritto di non leggere, il diritto di saltare le pagine, il diritto di spizzicare, ecc.
Forse il primo dei grandi classici che mi ha veramente deluso.