Finalmente, al secondo tentativo,
sono riuscito faticosamente a portare a termine la lettura del Moby Dick di Herman Melville. Ora mi
chiedo: perché viene considerato un capolavoro?
Se togliamo le continue e
prolisse divagazioni dedicate ora alle tecniche di pesca, ora alle
classificazioni zoologiche marine di balene, capodogli e catacei in genere, ora
alle leggende legate alla caccia delle balene, ora alla descrizione anatomica
dettagliata dei vari esemplari di balena, esaminati in tutte le loro parti, ora
all’elencazione minuziosa delle attrezzature in dotazione ad una nave baleniera
e alle tecniche di squartamento, raccolta e stoccaggio del famoso olio, ora
agli innumerevoli passaggi della bibbia relativi all’argomento pesci, balene
& co. (a partire dall’immancabile Giona…), ora, dicevo, se togliamo tutto
questo, cosa resta?
Qualcuno intellettualmente più
ispirato di me potrebbe obiettare che proprio tutte queste digressioni
rappresentano il bello del libro… Vabbè, diamo atto, però in realtà, ribadisco,
stringi stringi, cosa resta?
Una storiella semplice semplice,
di cui si fatica a seguire il filo a causa delle ricorrenti divagazioni di cui
sopra, che narra le tribolazioni di un povero equipaggio di baleniera –il
Pequod- irrimediabilmente ostaggio di un capitano pazzoide –Achab- vittima di
paranoie, allucinazioni e manie di persecuzione che porteranno verso un
inevitabile e tragico destino.
Il ritmo e il pathos della caccia
sarebbero i momenti migliori, se solo si riuscisse a leggerli tutto d’un fiato
almeno una volta.
Se poi vogliamo scovare sotto la
superficie della semplice avventura un risvolto metafisico, filosofico o
esistenziale sulla eterna lotta dell’uomo contro i suoi fantasmi e le sue
angosce, mi sembra che ciò sia palese fin dalle prime pagine dedicate al Pequod
e al suo sciroccato capitano.
Quindi, ribadisco ancora, dove
sta il capolavoro?
Non per nulla, all’epoca della
sua pubblicazione, il romanzo non ebbe particolare successo di pubblico,
creando non poche difficoltà economiche all’autore, che contava unicamente
sulla sua attività di scrittore per mantenere la famiglia.
Confesso che per poter portare a
compimento la lettura del libro, ho dovuto ricorrere ampiamente ai diritti
enunciati da Daniel Pennac nel suo Come
in un romanzo: il diritto di non leggere, il diritto di saltare le pagine,
il diritto di spizzicare, ecc.
Forse il primo dei grandi
classici che mi ha veramente deluso.
Nessun commento:
Posta un commento