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sabato 1 marzo 2014

La Storia siamo noi...

Che io non nutra particolari simpatie per i bambini è ormai cosa ben nota a chi mi conosce. Anche se si rende necessaria una precisazione importante: quelli che non mi piacciono sono i bambini di oggi. 
Piccoli dittatorucoli onnipotenti e intoccabili, protetti da ogni bava di vento come preziose cristallerie, ai quali, ormai per regio decreto e divino comandamento psico-pedagogico, è vietato imporre qualsiasi regola o trasmettere qualsiasi norma educativa e di civile convivenza, sia che provenga dalla famiglia, dalla scuola o dallo stesso consesso civile. 
Già questi, nel loro complesso, pessimi maestri.
Ma, strano a dirsi, ultimamente ho conosciuto un bambinetto di pochi anni che mi ha entusiasmato.
Il suo nome è Useppe. Proprio così; una storpiatura infantile di Giuseppe che gli è rimasta appiccicata per tutta la via.
Un piccolo cucciolo d'uomo sfortunato, nato negli anni della guerra in una povera borgata romana, da una sprovveduta maestrina, vedova e psicolabile, frutto della violenza improvvisata e infantile di un soldato tedesco di passaggio. Un ometto a cui la natura, o per chi ci vuol credere, un Dio sadico e capriccioso, come per compensarlo inizialmente di tanta sfortuna e miseria, ha dato in dote un carattere meraviglioso, allegro, spensierato, giocoso, sempre ottimista e una intelligenza vivacissima, per poi punirlo di tale immeritata buona sorte privandolo di tutto questo, uccidendo l'amato fratello Ninuzzo e lasciandolo marchiato e condannato a breve vita da una grave malattia invalidante.
Unica compagna, amica, nume tutelare, la cagna Bella, rimastagli in eredità dopo la morte del fratello, con la quale intreccerà un rapporto speciale.

I primi, e unici, anni di vita di Useppe ci vengono magistralmente narrati da Elsa Morante nel suo famoso romanzo "La Storia". Le espressioni, gli ammiccamenti, i gesti, i dialoghi storpiati con cui la Morante tratteggia il personaggio di Useppe nel corso della lunga narrazione, la descrizione minuziosa e poetica delle sue scorribande con Bella attraverso la Roma del dopoguerra, il rapporto quasi sovrannaturale che si instaura fra il bimbo e il suo cane, rappresentano, a mio parere, uno dei maggiori vertici della letteratura italiana del '900.

Rivolgo il mio pensiero affettuoso a questo bambino splendido e sfortunato e davanti ai miei occhi scorre, come un vecchio film in bianco e nero alla moviola, la curva discendente percorsa da questa umanità negli ultimi decenni, ben visibile nella decadenza e involuzione civile e morale, nell'ingiustificata arroganza, nel cinismo sprezzante e nell'egoismo dei nostri figli, spesso ereditato dai padri ...




Abbiamo davvero bisogno di un'altra guerra apocalittica per rinascere?