Blog NEWS (13/05/17)

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sabato 24 marzo 2012

The Help

Jackson, Mississippi. 1962 o giù di lì. Caldo, sole abbagliante, strade polverose in mezzo al nulla. Razzismo e discriminazione razziale allo stato puro. Pochi bianchi viziati, spocchiosi e ipocriti accuditi fin dalla nascita da domestiche e tate negre trattate come schiave e pagate con salari da fame. Gente semplice, religiosa, di animo remissivo, rassegnata al proprio destino senza alcuna speranza di riscatto sociale.
Ma il riscatto, inaspettatamente, arriva nelle sembianze della giovane ed agguerrita Eugenia “Skeeter” (naturalmente bianca e ricca), neolaureata a New York, dove ha respirato aria di rinnovamento e di eguaglianza, ambiziosa e soprattutto determinata a cambiare lo stato delle cose. Come?
Con un libro, rigorosamente anonimo, di storie raccontate proprio dal punto di vista delle domestiche di colore, col loro linguaggio e la loro immediata e cruda verità. Vengono alla luce tutti i vizi, le meschinità e le vergognose ipocrisie della razza dominatrice bianca. Nonché qualche imbarazzante segreto…
Il libro è una bomba a deflagrazione ritardata, ma devastante.
In questa cornice temporale e geografica, molto suggestiva, è ambientato il bellissimo film The Help, tratto dall’omonimo romanzo di successo di Kathryn Stockett, che purtroppo non ho avuto il tempo di leggere prima della trasposizione cinematografica, poiché ne ho scoperto l’esistenza troppo tardi.
Al conflitto razziale e alle condizioni di vita dei negri negli stati del sud si è ispirata molta letteratura e cinematografia statunitense negli ultimi 40-50 anni.
Oltre al famoso romanzo Radici (1976) di Alex Haley, ricordiamo: Il buio oltre la siepe (romanzo di Harper Lee del 1960 e film di Robert Mulligan con Gregory Peck del 1962), Il colore viola (romanzo di Alice Walker del 1981 e film di Steven Spielberg con Whoopi Goldberg del 1985), Pomodori verdi fritti (romanzo di Fannie Flagg del 1987 e film di Jon Avnet del 1991)Mississippi Burning (film di Alan Parker con Gene Hackman del 1989), A spasso con Daisy (dalla pièce di Alfred Uhry il film di Bruce Beresford con Jessica Tandy e Morgan Freeman del 1989), La lunga strada verso casa (film di Richard Pearce con Whoopi Goldberg e Sissy Spacek del 1990, tratto da un racconto autobiografico dell'attrice Mary Steenburgen), L’agguato (film di Rob Reiner del 1996, ispirato ad una storia vera accaduta proprio a Jackson, Mississippi, nel 1963 e citata anche nel film di cui stiamo trattando).  
Il film è godibilissimo, benchè affronti un tema drammatico, a tratti commovente, ben diretto da Tate Taylor, anche se privo di tocchi magici, ben ambientato e sceneggiato, ma soprattutto ottimamente interpretato da un cast quasi tutto al femminile (i ruoli maschili sono ben poca cosa). Meritatissimo, a tal proposito, l’Oscar come miglior attrice non protagonista a Octavia Spencer.
Non mi stancherò mai di ripetere che la condicio sine qua non per la buona riuscita di un film è la qualità della storia da raccontare, sia essa una sceneggiatura originale o, come in questo caso, un adattamento cinematografico di un buon libro (che naturalmente, prima o poi, dovrò leggere…).

Assolutamente consigliata la visione, soprattutto ai buonisti benpensanti dell’ultima ora che si riempiono la bocca a sproposito di parole come razzismo, discriminazione, integrazione, bla bla bla…
Per costoro ci vorrebbe un breve soggiorno indietro nel tempo, non troppo, solo 40 o 50 anni, nel sud del paese considerato il più civile, moderno e democratico del mondo. Allora capirebbero il vero significato di questi termini.
Il coraggio, a volte, salta una generazione. Grazie per averlo riportato in famiglia”

P.S. La nota polemica è più forte di me, non so resistere… E’ come il prurito quando hai le piattole!





domenica 4 marzo 2012

4/3/43

Addio Lucio.
Per ringraziarti adeguatamente, anch’io, come tutti, ho rovistato nel baule della mia vita per trovare qualche ricordo, qualche aneddoto che si aggrappi indissolubilmente alle tue canzoni. Non è stato difficile. Il decennio compreso fra la metà degli anni 70 e la metà degli 80 è stato senza dubbio il più felice e creativo della mia vita. Non per nulla veleggiavo arditamente fra l’adolescenza e la giovinezza: Il liceo prima e l’università poi, nuovi amici stimolanti, la passione per la musica, la letteratura, la poesia, il cinema, il teatro…
Come poteva mancare in questo contesto la musica di Lucio Dalla? Sono di quegli anni infatti i capolavori Come è profondo il mare, Lucio Dalla e Dalla.
Fra il 1979 e il 1980, con la compagnia di allora, allestimmo uno spettacolo di prosa autoprodotto, senza pretese, da teatrino di quartiere, nulla più. Nella scena finale un uomo, rimasto da solo sul palco, si accinge a scrivere una lunga lettera. Quale poteva essere la colonna sonora ideale se non L’anno che verrà (…Caro amico ti scrivo…) di Lucio Dalla?
Negli anni successivi, dal 1981 al 1982, ho indegnamente condotto, per una scalcinata radio locale, un programma settimanale tutto dedicato alla musica italiana, presuntuosamente intitolato “Capriccio Italiano”. Ho conservato gelosamente i quaderni su cui annotavo i miei commenti e le scalette musicali (mai lasciare nulla al caso!). Li ho risuscitati dallo scatolone della cantina in cui erano conservati e rileggendoli con nostalgia, naturalmente mi sono reso conto che il nome di Dalla ricorreva spesso e volentieri, sia con brani della prima produzione, sia con i lavori più recenti (per allora!). Addirittura, nell’autunno dell’81 ho dedicato a Dalla ben due puntate monografiche. Il brano conclusivo di quella raccolta non poteva che essere, ancora una volta, L’anno che verrà.
Anche nella mia ormai vasta produzione video non può mancare un frammento in cui la traccia audio è rappresentata da una canzone di Lucio Dalla. Proprio con questo clip e con questa canzone indimenticabile voglio salutarti. Ciao Lucio.

  Dice che era un bell'uomo e veniva,
veniva dal mare
parlava un'altra lingua,
pero' sapeva amare
e quel giorno lui prese a mia madre
sopra un bel prato
l'ora piu' dolce prima di essere ammazzato

Cosi' lei resto' sola nella stanza,
la stanza sul porto
con l'unico vestito ogni giorno piu' corto
e benche' non sapesse il nome
e neppure il paese
mi aspetto' come un dono d'amore fin dal primo mese

Compiva 16 anni quel giorno la mia mamma
le strofe di taverna,
le canto' a ninna nanna
e stringendomi al petto che sapeva,
sapeva di mare
giocava a fare la donna con il bimbo da fasciare.

E forse fu per gioco o forse per amore
che mi volle chiamare come nostro Signore
Della sua breve vita  il ricordo piu' grosso
e' tutto in questo nome
che io mi porto addosso

E ancora adesso che gioco a carte
e bevo vino
per la gente del porto
mi chiamo Gesu' bambino
e ancora adesso che gioco a carte
e bevo vino
per la gente del porto
mi chiamo Gesu' bambino
e ancora adesso che gioco a carte
e bevo vino
per la gente del porto
mi chiamo Gesu' Bambino