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sabato 25 aprile 2015

Donne... in mezzo a una via, donne allo sbando senza compagnia

A seguito di una di quelle strane coincidenze della vita che ti lasciano inconsciamente pensieroso e sospettoso sull'esistenza di un disegno divino trascendente, mi sono imbattuto nello stesso periodo in due storie, diversissime per ambientazione, periodo storico e contesto sociale, ma accomunate da un unico filo conduttore: la solitudine.
Cercata, voluta, favorita, subita passivamente o solo frutto di sfortunate circostanze, la solitudine è una compagna di vita con cui ciascuno di noi prima o poi deve fare i conti.

La prima storia, che mi ha quasi commosso per la sua tragica quanto assurda banalità, è quella di una giovane donna inglese, nel pieno della vita, ben inserita socialmente, forse anche appagata da una carriera artistica non priva di consensi, che improvvisamente scompare senza che nessuno si preoccupi o si interessi a lei e viene quasi per caso ritrovata cadavere, ormai uno scheletro decomposto, nel suo appartamento alla periferia di Londra dopo ben tre anni dalla morte.

La storia vera di  Joyce Carol Vincent, che nel 2006 ha ottenuto l'onore delle cronache, prima in Inghilterra poi nel mondo intero, rappresenta la fonte d'ispirazione dell'ultimo concept-album di Steven Wilson (Hand. Cannot. Erase.), nuova musa del neo prog contemporaneo, dagli esordi con i Porcupine Tree fino ad oggi come solista. 
Musica e testi coinvolgenti ben si fondono e si completano nella narrazione sofferta e partecipe degli ultimi capitoli dell'esistenza di questa infelice donna, inghiottita dalla megalopoli londinese senza lasciare traccia e la cui morte rimarrà per sempre avvolta nel mistero, anche se dai testi di Wilson si ha l'impressione che goda più credito l'ipotesi del suicidio.


Alcuni anni dopo il suo ritrovamento, la sua storia è stata magistralmente ricostruita, fin dove possibile, in un interessante docu-film: Dreams of a life. Lavoro che ha vinto vari premi internazionali, ma, come sempre, non ha mai visto la luce nel nostro amato paese.




Dalla inconfondibile penna di Georges Simenon (La finestra dei Rouet), un'altra storia, un'altra donna, un'altra solitudine. 
Siamo a Parigi, nelle prime decadi del novecento, fra gli antichi palazzi a pochi passi dai grandi Boulevards. Dominique si nutre della vita degli altri: i suoi giovani ed esuberanti inquilini, La vecchia zitella dell'attico dirimpetto, i negozietti lungo la via, la famiglia della casa di fronte, dalle cui finestre osserva ora dopo ora il tran-tran quotidiano trasformarsi repentinamente in tragedia dai burrascosi contorni che sconvolgerà la sua tranquilla esistenza.
Si immedesima nella bella vedova Antoinette fino a spiarla, seguirla nei suoi turbinosi spostamenti da un uomo all'altro, da un locale notturno all'altro. Si immedesima fino ad entrare nella stessa spirale di autodistruzione. Antoinette come alter ego della squallida e patetica Dominique. Ambedue destinate ad un precipizio di autocommiserazione e disperata solitudine.




Tutte storie di donne sole finite male. Come dicevo, strana coincidenza.