Blog NEWS (13/05/17)

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venerdì 17 maggio 2013

Due piccoli grandi libri


LA STRADA (Cormack McCarthy)



Leggere un libro così in questo periodo storico è sicuramente indice di patologico masochismo. La descrizione coinvolgente, realistica, ma terribile, allucinante, sconvolgente e nel contempo bellissima di un futuro post-apocalittico da incubo non può accrescere il nostro ottimismo. O forse è vero il contrario. L'apocalisse descritta da Cormack McCarthy è però molto peggiore di quella che ho -forse dovrei dire abbiamo- sempre immaginato. Ringrazio per questo i limiti della mia immaginazione. La realtà di questi giorni è già abbastanza insopportabile.

La desolante solitudine di un padre e di un figlio sopravvissuti per anni in condizioni disperate, quasi subumane, viene descritta a piccole frasi, dialoghi spezzettati, che portano il lettore ad immedesimarsi gradualmente con i protagonisti, in particolare col padre, a soffrire la sua stessa angoscia e impotenza. Ti sembra di essere lì con loro, in un mondo grigio e opaco, in cui la caligine degli incendi ha ormai sostituito l'atmosfera e imbavagliato il sole; a cercare cibo, a raspare nelle immondizie, a rivoltare le tasche dei cadaveri.

Sarà stata un'epidemia, una guerra nucleare, una catastrofe naturale; non importa. Ormai tutto è andato distrutto. Ma il padre e il figlio continuano a spostarsi quasi come automi verso sud, verso il mare, verso una speranza di qualcosa, almeno di un maggior tepore. La madre li ha lasciati soli, li ha abbandonati e si è lasciata morire, forse suicida, non ha importanza, perché non è stata in grado di accettare la disfatta, di vivere nella razionale accettazione di un futuro inesistente, nel quotidiano terrore di una morte violenta per mano di bande di predoni stupratori e cannibali.

Il finale, anche se gravato da un evento tragico, potrebbe essere inteso come ottimistico. Io non so. 

Quanto bassa deve essere la soglia di sopravvivenza per poter parlare ancora di "vita"?


Fino a che punto si può affermare, come fanno alcuni, forse solo perchè sorretti da una fede in Dio, che "ogni vita è degna di essere vissuta"?

Cormack McCarthy offre un quadro talmente raccapricciante di un nostro ipotetico futuro che ogni risposta può sembrare avventata. 

Cosa farebbe ciascuno di noi se si trovasse nei panni del protagonista?


Per ora coltiviamo solo la speranza di non dovercisi mai trovare.



IL TRENO (Georges Simenon)



Quando nella vita quotidiana, nel tran-tran monotono delle nostre giornate, irrompe dall'esterno un evento travolgente, talora inaspettato, talora inconsciamente atteso o desiderato, e tutto improvvisamente cambia. La realtà delle cose viene ribaltata, da un momento all'altro i luoghi, gli stati d'animo, i rapporti fra le persone non sono più gli stessi. Quello che prima importava non vale più e si aprono nuovi orizzonti, nuove aspettative, che fino a poche ore prima non facevano neppure parte dei nostri pensieri più reconditi. 

Una minaccia così improvvisa e concreta, come lo può essere una guerra, stravolge la nostra vita e ci obbliga, per sopravvivere, ad un repentino  e forse definitivo cambiamento.

Simenon tratteggia in modo magistrale questa situazione e gli stati d'animo che l'accompagnano, anche se il tema portante della storia, l'imprevisto, quasi violento, sconvolgimento della nostra esistenza, non è certo così originale in letteratura, cinema e teatro.

L'improvvisa fuga di un giovane uomo e delle sua famiglia da un paese al confine col Belgio il giorno dell'invasione tedesca dei Paesi Bassi. Un treno scelto a casaccio tra quelli diretti verso il sud della Francia. L'inaspettata separazione da moglie e figlia, l'incontro casuale con una giovane donna dal passato oscuro. Nel breve volgere di pochi giorni, la vita dell'uomo non è più la stessa.

Nel dipanarsi della storia, assumono notevole rilevanza le relazioni sessuali sia fra i due protagonisti, sia fra i personaggi di contorno, che Simenon rende in modo più esplicito del suo solito. Nonostante egli sia stato uno scrittore attivo nei primi decenni del secolo, ha sempre dimostrato nei suoi romanzi, compresa la serie dei Maigret, una predilezione per certe situazioni scabrose, pur descritte sempre con sobrietà e un uso raffinato di perifrasi e sottintesi. In questo caso però la scrittura si rivela ancor più diretta ed efficace, coll'intento di dimostrare come la disinibizione, la componente istintiva e animalesca che resiste in noi nonostante tutto, sembra esplodere in situazioni  critiche in cui è in gioco la nostra stessa sopravvivenza, quasi abbia una ben precisa funzione liberatoria e scaramantica.

 
Nella parte conclusiva del libro, Simenon preferisce rimettere tutte le carte al loro posto, scegliendo la strada della parentesi di vita aperta e chiusa piuttosto che quella dello sconvolgimento totale, definitivo ed irreversibile.

Una scelta difficile tra dovere, consuetudine, sicurezza, stabilità di affetti e avventura, rischio, incertezza, precarietà.


Ovvero: meglio un giorno da leoni o cent'anni da pecora? 
Eterno dilemma umano.