LA
STRADA (Cormack McCarthy)
Leggere
un libro così in questo periodo storico è sicuramente indice di
patologico masochismo. La descrizione coinvolgente, realistica, ma
terribile, allucinante, sconvolgente e nel contempo bellissima di un
futuro post-apocalittico da incubo non può accrescere il nostro
ottimismo. O forse è vero il contrario. L'apocalisse descritta
da Cormack McCarthy è però molto peggiore di quella che
ho -forse dovrei dire abbiamo- sempre immaginato. Ringrazio per
questo i limiti della mia immaginazione. La realtà di questi giorni
è già abbastanza insopportabile.
La
desolante solitudine di un padre e di un figlio sopravvissuti per
anni in condizioni disperate, quasi subumane, viene descritta a
piccole frasi, dialoghi spezzettati, che portano il lettore ad
immedesimarsi gradualmente con i protagonisti, in particolare col
padre, a soffrire la sua stessa angoscia e impotenza. Ti sembra di
essere lì con loro, in un mondo grigio e opaco, in cui la caligine
degli incendi ha ormai sostituito l'atmosfera e imbavagliato il sole;
a cercare cibo, a raspare nelle immondizie, a rivoltare le tasche dei cadaveri.
Sarà
stata un'epidemia, una guerra nucleare, una catastrofe naturale;
non importa. Ormai tutto è andato distrutto. Ma il padre e il figlio
continuano a spostarsi quasi come automi verso sud, verso il mare,
verso una speranza di qualcosa, almeno di un maggior tepore. La madre
li ha lasciati soli, li ha abbandonati e si è lasciata morire, forse
suicida, non ha importanza, perché non è stata in grado di
accettare la disfatta, di vivere nella razionale accettazione di un
futuro inesistente, nel quotidiano terrore di una morte violenta per
mano di bande di predoni stupratori e cannibali.
Il
finale, anche se gravato da un evento tragico, potrebbe essere inteso
come ottimistico. Io non so.
Quanto
bassa deve essere la soglia di sopravvivenza per poter parlare ancora
di "vita"?
Fino
a che punto si può affermare, come fanno alcuni, forse solo perchè
sorretti da una fede in Dio, che "ogni vita è degna di
essere vissuta"?
Cormack
McCarthy offre un quadro talmente raccapricciante di un nostro
ipotetico futuro che ogni risposta può sembrare avventata.
Cosa
farebbe ciascuno di noi se si trovasse nei panni del protagonista?
Per
ora coltiviamo solo la speranza di non dovercisi mai trovare.
IL
TRENO (Georges Simenon)
Quando
nella vita quotidiana, nel tran-tran monotono delle nostre giornate,
irrompe dall'esterno un evento travolgente, talora inaspettato,
talora inconsciamente atteso o desiderato, e tutto improvvisamente
cambia. La realtà delle cose viene ribaltata, da un momento
all'altro i luoghi, gli stati d'animo, i rapporti fra le persone non
sono più gli stessi. Quello che prima importava non vale più e si
aprono nuovi orizzonti, nuove aspettative, che fino a poche ore prima
non facevano neppure parte dei nostri pensieri più reconditi.
Una
minaccia così improvvisa e concreta, come lo può essere una guerra,
stravolge la nostra vita e ci obbliga, per sopravvivere, ad un
repentino e forse definitivo cambiamento.
Simenon
tratteggia in modo magistrale questa situazione e gli stati d'animo
che l'accompagnano, anche se il tema portante della storia,
l'imprevisto, quasi violento, sconvolgimento della nostra esistenza,
non è certo così originale in letteratura, cinema e teatro.
L'improvvisa
fuga di un giovane uomo e delle sua famiglia da un paese al confine
col Belgio il giorno dell'invasione tedesca dei Paesi Bassi. Un treno
scelto a casaccio tra quelli diretti verso il sud della Francia.
L'inaspettata separazione da moglie e figlia, l'incontro casuale con
una giovane donna dal passato oscuro. Nel breve volgere di pochi
giorni, la vita dell'uomo non è più la stessa.
Nel
dipanarsi della storia, assumono notevole rilevanza le relazioni
sessuali sia fra i due protagonisti, sia fra i personaggi di
contorno, che Simenon rende in modo più esplicito del suo solito.
Nonostante egli sia stato uno scrittore attivo nei primi decenni del
secolo, ha sempre dimostrato nei suoi romanzi, compresa la serie dei
Maigret, una predilezione per certe situazioni scabrose, pur
descritte sempre con sobrietà e un uso raffinato di perifrasi
e sottintesi. In questo caso però la scrittura si rivela ancor
più diretta ed efficace, coll'intento di dimostrare come la
disinibizione, la componente istintiva e animalesca che resiste in
noi nonostante tutto, sembra esplodere in situazioni critiche
in cui è in gioco la nostra stessa sopravvivenza, quasi abbia una
ben precisa funzione liberatoria e scaramantica.
Nella
parte conclusiva del libro, Simenon preferisce rimettere tutte le
carte al loro posto, scegliendo la strada della parentesi di vita
aperta e chiusa piuttosto che quella dello sconvolgimento totale,
definitivo ed irreversibile.
Una
scelta difficile tra dovere, consuetudine, sicurezza, stabilità di
affetti e avventura, rischio, incertezza, precarietà.
Ovvero:
meglio un giorno da leoni o cent'anni da pecora?
Eterno dilemma
umano.