Blog NEWS (13/05/17)

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sabato 28 dicembre 2013

NATALE 2013

Estratti dalla allocuzione di fine anno scolastico “RIVERIRE E ABORRIRE LA PAROLA DI DIO” di AMADEU INÀCIO DE ALMEIDA PRADO (tratto da "Treno di notte per Lisbona" di Pascal Mercier):


“Eppure esiste un altro mondo nel quale non voglio vivere: il mondo in cui il corpo e il pensiero autonomo sono demonizzati e dove vengono bollate come peccato cose che appartengono a quanto di meglio ci sia dato di sperimentare. Il mondo in cui si esige da noi amore nei confronti dei tiranni, degli sfruttatori e degli assassini, sia che i brutali passi dei loro piedi calzati dagli stivali echeggino assordanti nelle vie, sia che si aggirino furtivi e silenziosi, passi di ombre vili pronte a colpire alle spalle le vittime affondando loro i pugnali scintillanti nel cuore. Non c’è nulla di più assurdo al mondo: pretendere dal pulpito che esseri umani perdonino e persino amino creature di tal fatta. E se pure qualcuno realmente ci riuscisse, ciò significherebbe una falsità senza eguali, una spietata negazione di sé che verrebbe pagata con una totale storpiatura della persona. Questo comandamento, questo folle, degenere comandamento di amare i nemici è fatto apposta per spezzare gli esseri umani, per togliere loro in modo fraudolento tutto il coraggio e tutta la fiducia in se stessi e renderli malleabili nelle mani dei tiranni, così che non siano più in grado di trovare la forza per insorgere contro di loro, se necessario con le armi.”
[...]

“Da essa [la Bibbia] parla un Dio distante dalla vita e senza gioia che vuole restringere la potente amplitudine di un’esistenza umana – la grande circonferenza che essa è in grado di descrivere quando le si conceda libertà – all’unico, inesteso punto dell’obbedienza. Piegati dalle tribolazioni e gravati dal peccato, inariditi dalla sottomissione e dall’assenza di dignità della confessione, la fronte cosparsa di cenere e solcata dal segno della croce, ci tocca andare incontro alla morte con la speranza mille volte confutata in una vita migliore nell’aldilà. Ma perché dovrebbe essere migliore a fianco di Colui che in precedenza ci ha privati di ogni gioia e dì ogni libertà?”
[...]
“Come possiamo essere felici senza curiosità, senza interrogativi, senza dubbi, senza argomentazioni? Senza la gioia di pensare? Quell’espressione [Sacrificium intellectus] simile a un colpo di spada che ci decapiti – significa niente di meno che questo: la folle pretesa che il nostro agire e il nostro sentire configgano con il nostro pensiero. È l’esortazione a una scissione totale, l’ingiunzione a sacrificare quello che è il nocciolo di ogni pensabile felicità: l’interiore unità e armonizzazione della nostra vita. Lo schiavo sulla galea è incatenato, ma può pensare quello che vuole. Ma ciò che Lui, il nostro Dio, esige da noi è che con le nostre stesse mani noi radichiamo la nostra schiavitù negli strati più profondi del nostro animo e che lo facciamo di nostra spontanea volontà e con gioia. Può esserci uno scherno maggiore di questo?”
“Nella sua onnipresenza il Signore ci osserva giorno e notte, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo tiene la contabilità del nostro agire e del nostro pensare, non ci lascia mai in pace, non ci concede mai un momento tutto per noi. Che cos’è un uomo senza segreti? Senza pensieri e desideri che solo lui conosce? Gli sgherri addetti alla tortura – quelli dell’Inquisizione e quelli di oggi – lo sanno bene: tagliagli la ritirata nell’interiorità, non spegnere mai la luce, non lasciarlo mai solo, impediscigli di dormire e riposare: parlerà. Che la tortura ci ruba l’anima significa che essa distrugge la possibilità di restare soli con noi stessi, la solitudine di cui abbiamo bisogno come dell’aria per respirare. Il Signore Iddio non ha pensato che con la sua sfrenata curiosità e il suo ripugnante voyeurismo ci ruba l’anima, quell’anima che oltretutto dovrebbe essere immortale?”

Buon Natale!




giovedì 12 dicembre 2013

Non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere...

Ho sempre avuto una predilezione per le storie apocalittiche. Non ne conosco il motivo; forse qualche psichiatra potrebbe spiegarmelo.
Catastrofi ambientali, ecatombe nucleare, epidemia incontrollabile, invasioni extraterrestri sono il mio pane quotidiano. In campo letterario e cinematografico, s'intende.
Come non apprezzare storie come quelle di Ray Bradbury, George Orwell, Cormac McCarthy, Michael Crichton, Stephen King... 
Film come Alien, Virus letale, Contagion, Io sono leggenda, Codice Genesi, Oblivion, La guerra dei mondi...
Fiction come Fringe, Falling skies, Revolution, The walking dead...

Poi arriva una lungimirante e visionaria parabola come "Cecità" di José Saramago (notare l'uso sapiente degli aggettivi) e tutti i conti tornano.

In una città qualsiasi di un paese qualsiasi, un'improvvisa e inspiegabile epidemia porta tutti i cittadini alla cecità. Tutti meno uno. Il solito governo qualsiasi, composto da cialtroni e arroganti incompetenti (ma va là?!) tenta di arginare il contagio improvvisando luoghi di quarantena per i ciechi e i loro contatti. Un vecchio manicomio dismesso si trasforma così, per i protagonisti della storia, in un lager senza speranza di ritorno. Microcosmo di umanità ridotta ai limiti estremi di sopravvivenza. Fame, sete, malattia, sporcizia, violenza, morte, perdita della dignità umana e progressivo totale abbrutimento senza speranza.
Unica luce nel buio del corpo e della mente, fuor di metafora, è il solo essere umano ancora dotato della vista; una donna che, fintasi cieca per seguire il marito, diventerà guida e riferimento per tutti, la loro sola àncora di salvezza.

La prosa galoppante e incessante di Saramago, lunghissimi periodi composti da un flusso ininterrotto di dialoghi, azioni, pensieri e descrizioni, nonché il sapiente uso, o meglio, non uso della punteggiatura (quasi tutte virgole, pochi punti e nient'altro) trascinano il lettore a precipizio di pagina in pagina come un thriller d'alta scuola.
Così come per il periodo storico e l'ambientazione, anche i personaggi non hanno un nome, ma solo una descrizione; il primo cieco, il medico, la moglie del medico, la ragazza dagli occhiali scuri, il ragazzino strabico, ecc. Con questo artificio, tutto resta sospeso e indefinito nello spazio e nel tempo.

Un grande libro, una implacabile autopsia dell'animo umano, un lucido e profondo trattato di etica contemporanea (non per nulla il titolo originale recita “Ensaio sobre a Cegueira”: Saggio sulla cecità.), una moderna allegoria valida in ogni tempo e in ogni luogo.
Una lettura indispensabile.