Blog NEWS (13/05/17)

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sabato 31 maggio 2014

Amico, amico fragile...

Da alcuni anni faccio indiscutibilmente parte, senza particolari rimorsi, della eletta schiera dei misantropi, asociali e pessimisti cronici.
Fra i tanti, troppi perché, ve ne basti uno: sono molto, ma molto preoccupato della deriva ipocritamente ottimista e falso-buonista che sta prendendo piede nel nostro paese, leader mondiale nell'esibizione dei buoni sentimenti.

La formula di saluto più in voga del momento è "Ciao, tutto bene?". Domanda retorica e ipocrita da cui ci si attende solo una risposta positiva e tranquillizzante, visto che in realtà nella maggioranza dei casi non ci importa una sega del nostro occasionale interlocutore.
Tutto bene un cazzo! 
Vi pare che in questo periodo storico si possa ragionevolmente associare il pronome tutto all'avverbio bene?
Già siamo fortunati se non ci becchiamo il cancro o non perdiamo il lavoro (o tutt'e due le cose insieme...); se non siamo travolti da una frana o presi a picconate per strada; quanto al resto lasciamo perdere... Ma tutto bene proprio no!

Non passa sera in cui, assistendo in TV o al cinema ad una storia più o meno drammatica, qualcuno dei protagonisti, nel bel mezzo di una immane catastrofe, non dica la famosa frase "Vedrai, andrà tutto bene!". E gli spettatori, a bocca aperta, se la bevono come acqua di sorgente.
La cosa più triste è che poi, tornando nella vita reale, la riciclano alla prima occasione utile che si presenta: "sai, domani mi operano per un tumore al cervello." "Non ti preoccupare, vedrai che andrà tutto bene!".
E così anche la nostra coscienza è a posto.




"Noi sappiamo sempre trovare un sofisma da mettere in bocca alla coscienza che abbaia…”

Emilio De Marchi - “Il cappello del prete"




La diffusione esplosiva e incontenibile dell'epidemia di comunicazione globale, supportata dalla altrettanto grande e rapidissima diffusione di accessori tecnologici in molti casi del tutto superflui, vedi smartphone, tablet e notebook sempre più veloci e meno ingombranti, capaci di connettersi rapidamente dovunque con chiunque e condividere notizie spesso inutili tramite socialnetwork, chat, forum, blog ecc., ha indotto il genere umano a cedere ad una facile, falsa e pericolosa ansia di socializzazione a tutti i costi.
Sull'onda di questo entusiasmo infantile indotto dalla tecnologia alla portata di tutti (ma proprio tutti!) e dalla pandemica divulgazione dell'uso del "tu" in occasione di qualunque contatto umano, indipendentemente da età, livello di familiarità, status sociale, ecc., la parola "amicizia" ha subito una pericolosissima ed imprevedibile metamorfosi.
Lo stesso uso massiccio e ambiguo che se ne fa in spot pubblicitari, reality show e format televisivi demenziali, ha portato ad una tale banalizzazione e massificazione del concetto da lasciare molto perplessi i pochi, come me, ancora affezionati al vecchio detto di Benjamin Franklin:
"Sii educato con tutti; socievole con molti; intimo con pochi; amico con uno soltanto.”

La vera amicizia è un sentimento troppo nobile per essere dato in pasto ai cannibali di Facebook e agli animatori dei villaggi turistici all-inclusive; per diventare un articolo di consumo usa e getta.
Va usato con parsimonia, come il disprezzo.
Non bastano quattro messaggini con Whatsapp e due "cinguettii" su Twitter, qualche giorno a sparare banalità col vicino di ombrellone o una pizza da asporto coi nuovi vicini di casa, tanto per riempire la serata domenicale...
Serve una vita. E talvolta non basta.
Servono cervelli che ragionano e cuori che palpitano.
Serve sofferenza condivisa, serve sacrificio. 
Serve il calore di uno sguardo e una mano sulla spalla che ti conforta nel momento del dolore e del bisogno, non il riflesso dei tuoi occhi umidi di pianto sul display dell'iPhone.

"Come ti senti amico, amico fragile,
Se vuoi potrò occuparmi un'ora al mese di te" 
Fabrizio de André.





“Per molti uomini l’amicizia consiste nel praticare insieme qualche sport, nel parlare di lavoro, nel prendere una birra al bar e arrivederci fino al giorno dopo. Possono passare anni e anni senza che dubitino di essere uniti da una grande amicizia.”
Alicia Giménez-Bartlett.




giovedì 22 maggio 2014

OPEN... your mind

Ogni forma vivente, per sopravvivere, ha bisogno di nutrimento, di luce, di stimoli vitali, di sollecitazioni, di soddisfare bisogni e di raggiungere traguardi...
La nostra vita stessa, in primis, necessita di tutto questo; poi, con essa, le nostre attività, principalmente il lavoro, se abbiamo la fortuna (?) di averlo ancora, ma anche tutte le altre ritenute secondarie, fino alla più banale e insignificante. In pratica, qualunque attività della nostra mente funziona così.
Se vengono a mancare questi elementi nutritivi e stimolanti, la nostra creatura si inaridisce e muore, non ci sono santi. 
Il giardino delle nostre idee diventa, col tempo, un arido deserto di pietre e sabbia.
Tutto ciò vale anche per questo piccolo blog.
Se ormai per la mia professione ho già da tempo recitato il De Profundis, e non nutro certo speranze che, nel contesto in cui mi trovo, possa rinascere dalle proprie ceneri come novella Fenice, non vorrei col tempo dover fare lo stesso con questa mia piacevole isola virtuale, piccolo ma solido approdo per un naufrago alla deriva.

Detto questo, riprendiamo fiato e procediamo.



Dopo un breve periodo di abulia, navigando in rete (non quella dei pescatori, somari!) da un link all'altro, mi sono imbattuto in un bellissimo sito di informazione musicale: Open (http://www.opento.it/index.htm).
La splendida veste grafica della homepage mi ha subito piacevolmente impressionato: semplice, immediata, ordinata, con icone "simboliche" di riferimento alla varie sezioni e poche immagini ben organizzate. Nulla di dispersivo, tutto chiaro ed immediato (io odio i siti caotici, sovraffollati e pieni di finestre, foto, video, ecc). Oltre ai contenuti, decisamente interessanti, di cui parlerò fra breve, risulta stimolante l'opzione di iscriversi con pochi passaggi alla newsletter OPEN Magazine che ci tiene regolarmente aggiornati  via mail sulle novità del sito, nuovi articoli, recensioni discografiche, eventi, concerti e altro ancora.

Proprio consultando la pagina delle recensioni, ho avuto modo di fare la conoscenza con due realtà artistiche totalmente italiane, una volta tanto: il sestetto romano Ingranaggi della Valle, al loro debutto discografico con "In Hoc Signo", e Fabio Zuffanti, elemento ben noto nell'ambiente progressive internazionale, col suo ultimo concept CD "La quarta Vittima".

Rimandando, per chi fosse interessato, alle recensioni originali, mi limito a dire che i primi ascolti mi  hanno lasciato una impressione molto favorevole, riportandomi a vecchie atmosfere anni '70, anche se piacevolmente contaminate da inevitabili spifferi di modernità e ricerca musicale.
Navigando fra le varie sezioni in cui è suddiviso il sito, ho molto apprezzato quella dedicata alla rivalutazione di album over 40, capolavori a cavallo fra gli anni '60 e '70, e quella, intitolata Rewind, dedicata a ristampe e riedizioni di album di indubbio valore, ma pubblicati non troppo recentemente, talora ben noti anche al vasto pubblico, talaltra piccole e preziose chicche da aggiungere al nostro modesto bagaglio musicale.
Tutto ormai facilmente fruibile in streaming on line dai siti dedicati, almeno per un veloce assaggio, e scaricabile, dietro pagamento di cifre spesso modeste, in formato digitale compresso mp3/320, o meglio, in formati lossless Flac/ALAC/AAC, talvolta anche disponibili nella versione alta qualità a 24bit.
Uff...!
Giro la testa nel mio studio a guardare con affetto la mia storica collezione di CD/LP e il mio non così decrepito impianto Hi-fi. Anzi, negli anni recenti ne ho anche migliorato la qualità, sostituendo, per rottura o vetustà, sia amplificatore che lettore CD. Il pezzo più vecchio, a cui non rinuncerò mai, è un buon giradischi Ariston QDeck del 1990, negli ultimi anni quasi mai utilizzato. Lo accendo solo di tanto in tanto per accertarmi che continui a funzionare.
Che tristezza, che nostalgia...

Ora uso assai più spesso il mio nuovo micro DAC (convertitore analogico-digitale) USB Audioquest DragonFly, collegato al Mac, da cui, con una buona cuffia in-ear e l'interfaccia di un buon software (Audirvana Plus), posso ascoltare alla massima qualità possibile la musica liquida immagazzinata nell'hard disk.
Notare la profusione di vocaboli tecnici, acronimi, inglesismi...

Così l'hanno chiamata: musica liquida. In quanto non vincolata a supporti solidi... Sic!

A quando anche il nostro pensiero diventerà "liquido", in quanto non più vincolato a supporto solido, alias cervello?