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sabato 31 maggio 2014

Amico, amico fragile...

Da alcuni anni faccio indiscutibilmente parte, senza particolari rimorsi, della eletta schiera dei misantropi, asociali e pessimisti cronici.
Fra i tanti, troppi perché, ve ne basti uno: sono molto, ma molto preoccupato della deriva ipocritamente ottimista e falso-buonista che sta prendendo piede nel nostro paese, leader mondiale nell'esibizione dei buoni sentimenti.

La formula di saluto più in voga del momento è "Ciao, tutto bene?". Domanda retorica e ipocrita da cui ci si attende solo una risposta positiva e tranquillizzante, visto che in realtà nella maggioranza dei casi non ci importa una sega del nostro occasionale interlocutore.
Tutto bene un cazzo! 
Vi pare che in questo periodo storico si possa ragionevolmente associare il pronome tutto all'avverbio bene?
Già siamo fortunati se non ci becchiamo il cancro o non perdiamo il lavoro (o tutt'e due le cose insieme...); se non siamo travolti da una frana o presi a picconate per strada; quanto al resto lasciamo perdere... Ma tutto bene proprio no!

Non passa sera in cui, assistendo in TV o al cinema ad una storia più o meno drammatica, qualcuno dei protagonisti, nel bel mezzo di una immane catastrofe, non dica la famosa frase "Vedrai, andrà tutto bene!". E gli spettatori, a bocca aperta, se la bevono come acqua di sorgente.
La cosa più triste è che poi, tornando nella vita reale, la riciclano alla prima occasione utile che si presenta: "sai, domani mi operano per un tumore al cervello." "Non ti preoccupare, vedrai che andrà tutto bene!".
E così anche la nostra coscienza è a posto.




"Noi sappiamo sempre trovare un sofisma da mettere in bocca alla coscienza che abbaia…”

Emilio De Marchi - “Il cappello del prete"




La diffusione esplosiva e incontenibile dell'epidemia di comunicazione globale, supportata dalla altrettanto grande e rapidissima diffusione di accessori tecnologici in molti casi del tutto superflui, vedi smartphone, tablet e notebook sempre più veloci e meno ingombranti, capaci di connettersi rapidamente dovunque con chiunque e condividere notizie spesso inutili tramite socialnetwork, chat, forum, blog ecc., ha indotto il genere umano a cedere ad una facile, falsa e pericolosa ansia di socializzazione a tutti i costi.
Sull'onda di questo entusiasmo infantile indotto dalla tecnologia alla portata di tutti (ma proprio tutti!) e dalla pandemica divulgazione dell'uso del "tu" in occasione di qualunque contatto umano, indipendentemente da età, livello di familiarità, status sociale, ecc., la parola "amicizia" ha subito una pericolosissima ed imprevedibile metamorfosi.
Lo stesso uso massiccio e ambiguo che se ne fa in spot pubblicitari, reality show e format televisivi demenziali, ha portato ad una tale banalizzazione e massificazione del concetto da lasciare molto perplessi i pochi, come me, ancora affezionati al vecchio detto di Benjamin Franklin:
"Sii educato con tutti; socievole con molti; intimo con pochi; amico con uno soltanto.”

La vera amicizia è un sentimento troppo nobile per essere dato in pasto ai cannibali di Facebook e agli animatori dei villaggi turistici all-inclusive; per diventare un articolo di consumo usa e getta.
Va usato con parsimonia, come il disprezzo.
Non bastano quattro messaggini con Whatsapp e due "cinguettii" su Twitter, qualche giorno a sparare banalità col vicino di ombrellone o una pizza da asporto coi nuovi vicini di casa, tanto per riempire la serata domenicale...
Serve una vita. E talvolta non basta.
Servono cervelli che ragionano e cuori che palpitano.
Serve sofferenza condivisa, serve sacrificio. 
Serve il calore di uno sguardo e una mano sulla spalla che ti conforta nel momento del dolore e del bisogno, non il riflesso dei tuoi occhi umidi di pianto sul display dell'iPhone.

"Come ti senti amico, amico fragile,
Se vuoi potrò occuparmi un'ora al mese di te" 
Fabrizio de André.





“Per molti uomini l’amicizia consiste nel praticare insieme qualche sport, nel parlare di lavoro, nel prendere una birra al bar e arrivederci fino al giorno dopo. Possono passare anni e anni senza che dubitino di essere uniti da una grande amicizia.”
Alicia Giménez-Bartlett.




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