Che io non nutra particolari simpatie per i bambini è ormai cosa ben nota a chi mi conosce. Anche se si rende necessaria una precisazione importante: quelli che non mi piacciono sono i bambini di oggi.
Piccoli dittatorucoli onnipotenti e intoccabili, protetti da ogni bava di vento come preziose cristallerie, ai quali, ormai per regio decreto e divino comandamento psico-pedagogico, è vietato imporre qualsiasi regola o trasmettere qualsiasi norma educativa e di civile convivenza, sia che provenga dalla famiglia, dalla scuola o dallo stesso consesso civile.
Già questi, nel loro complesso, pessimi maestri.
Ma, strano a dirsi, ultimamente ho conosciuto un bambinetto di pochi anni che mi ha entusiasmato.
Il suo nome è Useppe. Proprio così; una storpiatura infantile di Giuseppe che gli è rimasta appiccicata per tutta la via.
Un piccolo cucciolo d'uomo sfortunato, nato negli anni della guerra in una povera borgata romana, da una sprovveduta maestrina, vedova e psicolabile, frutto della violenza improvvisata e infantile di un soldato tedesco di passaggio. Un ometto a cui la natura, o per chi ci vuol credere, un Dio sadico e capriccioso, come per compensarlo inizialmente di tanta sfortuna e miseria, ha dato in dote un carattere meraviglioso, allegro, spensierato, giocoso, sempre ottimista e una intelligenza vivacissima, per poi punirlo di tale immeritata buona sorte privandolo di tutto questo, uccidendo l'amato fratello Ninuzzo e lasciandolo marchiato e condannato a breve vita da una grave malattia invalidante.
Unica compagna, amica, nume tutelare, la cagna Bella, rimastagli in eredità dopo la morte del fratello, con la quale intreccerà un rapporto speciale.
I primi, e unici, anni di vita di Useppe ci vengono magistralmente narrati da Elsa Morante nel suo famoso romanzo "La Storia". Le espressioni, gli ammiccamenti, i gesti, i dialoghi storpiati con cui la Morante tratteggia il personaggio di Useppe nel corso della lunga narrazione, la descrizione minuziosa e poetica delle sue scorribande con Bella attraverso la Roma del dopoguerra, il rapporto quasi sovrannaturale che si instaura fra il bimbo e il suo cane, rappresentano, a mio parere, uno dei maggiori vertici della letteratura italiana del '900.
Rivolgo il mio pensiero affettuoso a questo bambino splendido e sfortunato e davanti ai miei occhi scorre, come un vecchio film in bianco e nero alla moviola, la curva discendente percorsa da questa umanità negli ultimi decenni, ben visibile nella decadenza e involuzione civile e morale, nell'ingiustificata arroganza, nel cinismo sprezzante e nell'egoismo dei nostri figli, spesso ereditato dai padri ...
Abbiamo davvero bisogno di un'altra guerra apocalittica per rinascere?
Da avida lettrice quale sono, colgo al volo il suggerimento anche se la storia non è il mio argomento preferito.
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