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domenica 31 luglio 2011

Vita da telefilm

Ormai da anni importiamo regolarmente dagli Stati Uniti decine di prodotti televisivi –ora si chiamano serial, una volta telefilm- di varia qualità e di argomenti disparati. Tra quelli di maggior successo si trovano quasi sempre ambientazioni poliziesche e criminali (C.S.I., Criminal minds, Mentalist, NYPD, Numb3rs, NCIS, Life, ecc.), ambientazioni legali e giudiziarie o la mescolanza di tutt’e due le cose (Law & Order, JAG-Avvocati in divisa, The practice, Close to home, il vecchio Perry Mason, ecc.)  e, soprattutto, ambientazioni mediche (E.R., Dr. House, Gray’s anatomy, Miami medical, Nip/Tuck, ecc.).
In tutti questi ambienti lavorativi ho sempre notato una caratteristica costante e agghiacciante: i protagonisti mostrano una dedizione al lavoro così assoluta da inglobare del tutto, come un’ameba, la loro esistenza, riducendo la vita privata ad un lumicino pieno di frustrazioni e sensi di colpa e portando inevitabilmente al fallimento rapporti affettivi, matrimoni e altri interessi personali.
Pur ammettendo che questa sia principalmente una scelta voluta in sede di produzione, per mantenere alta la tensione narrativa, temo che in ogni modo rispecchi abbastanza fedelmente lo spirito produttivo del cittadino medio statunitense, votato al lavoro sempre e comunque, con orari di vita per noi italiani inconcepibili. Alzatacce all’alba e ritorni a notte fonda; telefonate nel cuore della notte o durante gli amplessi amorosi o le –scarse- vacanze, senza la normale sequela di bestemmie che un essere umano appena normale avrebbe tutto il diritto di tirare…
Conferma a questa teoria l’ho avuta leggendo la lettera al direttore de La Stampa del 26/6/11 e ho molto apprezzato la risposta data da Mario Calabresi al fanatico lettore.

La vita è una sola. Di rado entusiasmante. Spesso troppo breve. Un lavoro, il più delle volte insoddisfacente e frustrante, ma necessario, ne occupa gran parte (minimo 7-8 ore al giorno) per almeno 40 anni, eccezion fatta per i frequenti casi privilegiati tipicamente italiani e i ricchi sfondati.
Godere di più ferie possibili e avere un po’ di ore alla settimana da dedicare al tempo libero, famiglia, hobby, sport o altro non mi sembra poi così delittuoso e immorale. Il mondo va avanti anche senza di noi: come si dice, “Tutti sono utili e nessuno indispensabile”.
I lavoratori assatanati lasciamoli nei telefilm americani.

In fondo, io sono italiano e, per parte di padre, anche mezzo “terrone”!


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