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sabato 4 febbraio 2012

Appunti di cinema

Ormai la stagione cinematografica è a buon punto e si può già tracciare qualche bilancio.
Nel complesso, tra i film che ho avuto modo di vedere, non mi pare emerga alcun capolavoro, ma la qualità media dei prodotti cinematografici mi sembra in costante aumento negli ultimi anni, soprattutto nell’ambito delle produzioni “alternative” allo strapotere hollywoodiano. Qualche orribile caduta di stile non manca certamente; è inevitabile, così come qualche aspettativa delusa, per essere in linea ad esempio con gli sfegatati ammiratori di Woody Allen. Genio insuperato, a mio parere, dell’intreccio cinematografico, il grande Woody, negli ultimi anni ha proposto sceneggiature sempre brillanti e ricche di significati reconditi (fra tutte,  Match Point, Whatever Works - Basta che funzioni), anche se lontane dai suoi capolavori degli anni ’70 e ’80, da Io e Annie a La rosa purpurea del Cairo. Piacevolissimo si rivela anche l’ultimo Midnight in Paris, ove la sua vena magica e surreale prende il sopravvento.
Ma uno degli argomenti in assoluto più trattati e più gettonati nella produzione cinematografica recente, prevalentemente di origine europea o comunque mediterranea, è quello dell’immigrazione, dell’accoglienza (o meno…) e dell’integrazione fra immigrato e paese ospitante. Il problema, perché di problema si tratta, viene affrontato da svariati punti di vista, descritto e narrato da voci diverse per nascita, cultura e tradizioni. A dispetto di molte interpretazioni estremistiche –dal “ributtiamoli a mare” al “siamo tutti fratelli”- ho notato nella maggior parte dei casi un approccio al fenomeno molto rispettoso e delicato, con messaggi subliminali di comprensione e fratellanza che, visti nel piccolo contesto del racconto e della finzione, stimolano riflessioni anche negli animi meno generosi. Poi, una volta usciti dal cinema e ripiombati nella vita vera, la realtà è tutta un’altra cosa…
Fra tutti, mi hanno positivamente impressionato Io sono Li di Andrea Segre e Miracolo a Le Havre di Aki Kaurismaki.
Il primo, meravigliosamente ambientato e fotografato a Chioggia, colloca una sperduta madre cinese in un bar di pescatori veneti (fra cui Marco PaoliniRoberto CitranGiuseppe Battiston… più veneti di così!). Sarà proprio l’affetto e la generosità di questa gente semplice, soprattutto di Bepi il "Poeta", straniero a sua volta, ad aiutarla a sdebitarsi con la mafia cinese che gestisce il traffico di esseri umani e a ricongiungersi con l’amato figlio.
Nel secondo, una fiaba moderna un po’ surreale, ambientata negli squallidi ma umanissimi vicoli alla spalle del porto di Le Havre, un vecchio lustrascarpe, con la complicità dei vicini di casa e di uno sbirro dallo sguardo severo, ma dal cuore tenero, aiuta un giovane clandestino africano a fuggire in Inghilterra e ritrovare la madre. Il miracolo della solidarietà umana si materializza nella miracolosa guarigione della moglie del lustrascarpe, affetta da un tumore incurabile. Ovvero, morale della storia: fai del bene al tuo prossimo e te ne verrà restituito con gli interessi. Infatti, come dicevo all’inizio, si tratta di una fiaba…
Sempre sullo stesso argomento, da fuggire come la peste, Il villaggio di cartone di Ermanno Olmi. Una predica ininterrotta e prolissa, dal pulpito di una vera chiesa, anche se sconsacrata e disabitata, e dalla bocca di un vero prete a fine carriera, sulla nostra colpa di essere nati bianchi, ricchi ed egoisti in un mondo di sofferenza. Lentissimo e presuntuoso. Insopportabile. Ermanno Olmi mi aveva già fregato in passato (L'albero degli zoccoli…) con quella sua aria da sacrestano sputasentenze. Non accadrà più.


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