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sabato 28 gennaio 2012

Venite a vedere l'uomo che vive! (1992-2012)

Non ho parole. E forse, quel che è peggio, non ho neppure fatti. Se per fatti s'intendono quelli che muovono la storia, che sconvolgono la vita, che imprimono sulla nostra pelle il duro marchio dell'esistenza e, talvolta, della sopravvivenza.
Cosa ho vissuto ? 
Nato nei radiosi anni '50, quando l'italiano medio iniziava a respirare e a vivere veramente dopo gli anni bui della guerra e della ricostruzione, ho trovato il mondo in piena rinascita, sorridente, ottimista, guidato da giovani democrazie forgiate dalle rivoluzioni e dalle riscossioni. 
Ho respirato subito, senza preparazione e senza gradualità, quella gradualità che fa gustare le cose, l'aria di libertà e di creatività che imbibiva l'aria. 
Ho visto ricchezze accumularsi con rapidità insperata fino a pochi anni prima e godute con cupidigia, quasi a mo' di "rimborso spese" per i disagi e le sofferenze patite. 
Ho visto e seguito nel tempo l'umana tecnologia innalzarsi a vertici inimmaginabili, ma non adeguatamente corrisposta da una crescita morale e spirituale, anzi quasi accompagnata da una tendenza inversa... 
Eppure tutto mi fa credere di non avere argomenti, fatti, esperienze da narrare ! Questo perché la pace, la serenità, l'agiatezza, la salute, il benessere... SONO MONOTONI ! 
Dov'è la drammaticità della storia ? Dove il PATHOS ? Dove la suspense e l'azione ? Nelle gite in bicicletta con gli amici la domenica, nelle passeggiate con la morosa, nell'abbonamento al cineforum ?
Macché !

Ho imbottito e stipato il mio cervello, ho alimentato la mia fantasia con le migliori storie d'avventura, coi libri e i films più emozionanti degli ultimi decenni e, in realtà, io chi sono? Dove somiglio ai miei eroi, a Edmond Dantès, a Indiana Jones, al Kevin Costner de "Gli Intoccabili", al Robin Williams de "L'attimo fuggente", a Philipe Marlowe/Humprey Bogart, a James Bond/Sean Connery, a Maigret, a Pepe Carvalho, a Charitos, a Montalbano, e, perchè no?, a Benjamin Malaussène... ?? 
Eppure devo. 
Devo trasformare la mia vita normale, pur anche piacevole, varia, fantasiosa, ma normale, in un'avventura degna di essere narrata a un figlio; in modo tale da fargliene apprezzare l'essenza e convincerlo a non pentirsene mai. 
E non solo. 
Devo spremere dai racconti, dalle avventure vere o false che siano, il succo della "positività" e porlo sempre in contrasto con ciò che positivo non è. Ma non solo la "positività" scontata, banale, stereotipata, ma quella più umile e nascosta, quella che sfugge ad uno sguardo superficiale, eppure è la più bella. 
Devo tratteggiare il dolore e la sofferenza senza spaventare, senza per questo renderli il contorno necessario ed irrinunciabile dell'esistenza, ma relegandoli nello sfondo, sfumati, lontani eppur presenti, in modo tale da non farsi troppo sorprendere dalla loro invadenza. 
Soprattutto devo insegnare a non farsi "abbindolare" troppo presto, ma pensare e poi ancora pensare fino a grattare il fondo della verità, anche se costa fatica, come ben c'insegnano i nostri eroi della carta stampata e della celluloide. 
E quando avrà capito il senso dei miei racconti non avrà più bisogno di eroi, ma solo di se stesso.


P.S. (2012). Dopo 20 anni rileggo queste righe e mi domando: ce l'ho fatta? Certo che no!



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