Dopo avervi girato attorno per anni “come un moscone sulla merda” mi sono finalmente deciso a leggere Viaggio al termine della notte di Celine. Lo temevo, ma ne ero attratto. Una volta accettata la strana prosa istantanea, colloquiale e infarcita di termini in antico Argot (il nostro gergo), traduzione permettendo, si viene rapidamente assorbiti dal flusso narrativo autobiografico e autolesionista dell’autore. Purtroppo mi sono trovato pienamente concorde con l’impostazione nichilista e disfattista che accompagna tutta la narrazione.
Nessuna speranza di redenzione viene concessa al genere umano: “E’ che non conoscevo ancora gli uomini. Non crederò più a quello che dicono, a quello che pensano. E’ degli uomini e di loro soltanto che bisogna aver paura, sempre.”
Come si può dargli torto?
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